Nel Vangelo di Luca si legge: “NELLA PAZIENZA, POSSIEDERAI IL TUO CUORE". La parola greca per pazienza ha anche il significato di costanza, perseveranza. È una parola forte.
La pazienza è la capacità di vedere, sentire, toccare, assaporare e odorare il più pienamente possibile gli eventi interiori ed esteriori della nostra vita. È entrare nella nostra vita con occhi, orecchie e mani aperte in modo da conoscere veramente quello che accade. La pazienza è una disciplina assai difficile proprio perché è un movimento opposto al nostro impulso irriflessivo a fuggire o a combattere. La pazienza ci chiede di andare al di là della scelta tra fuggire e lottare. È la terza via ed è la più difficile. Richiede disciplina perché va contro la tendenza dei nostri impulsi.
La pazienza comporta lo stare con, il vivere interamente, l’ascoltare attentamente ciò che si presenta qui e ora. L’affinità tra la descrizione di cos’è la vera pazienza e la definizione di presenza mentale, o sati, nel Dharma, è molto forte, tanto che potremmo unire i linguaggi e parlare di consapevolezza paziente, così come si parla di consapevolezza non giudicante, di consapevolezza equanime, di consapevolezza affettuosa.
La pazienza, l’equanimità, la sollecitudine, l’attitudine non giudicante sono intrinseche alla consapevolezza.
LA CONSAPEVOLEZZA è la capacità di entrare in intimità con le cose, ma secondo un atteggiamento di non attaccamento e di non identificazione. Quindi con sollecitudine ed equanimità. Dal punto di vista dell’io è una contraddizione, è assolutamente incomprensibile, ma questa è per definizione la struttura stessa della consapevolezza.
In psicologia biologica, con il termine consapevolezza (inglese awareness) si intende la percezione e la reazione cognitiva di un animale al verificarsi di una certa condizione o di un evento. La consapevolezza non implica necessariamente la comprensione.
Il concetto di consapevolezza è relativo. Un animale può essere parzialmente consapevole, oppure può essere consapevole a livello subconscio o anche profondamente consapevole di qualcosa. La consapevolezza può essere individuata in uno stato interno, quale ad esempio una sensazione viscerale o la percezione sensoriale di eventi esterni.
La consapevolezza fornisce il materiale "grezzo" a partire dal quale gli animali possono sviluppare delle idee soggettive circa la loro esperienza, il passo successivo alle idee è arrivare a scoprire la parte inconscia, diventando totalmente conscia, questa è l'illuminazione. L'uomo è l'unico animale che può raggiungere questo stato (il picco più alto di consapevolezza).
La consapevolezza non è qualcosa che ci si sforza di raggiungere. E’ un processo che si deve vivere, un processo evolutivo in costante cambiamento, che fluttua istante per istante.
Va da sé che sviluppare vera consapevolezza richiede un addestramento di immensa pazienza e un graduale affinamento della capacità di comprendere, di vedere in profondità.
Facciamo un esempio. Supponiamo di essere tristi, che la tristezza sia il nostro stato emotivo predominante. Cosa facciamo di solito? Spesso, anche se non necessariamente, ci perdiamo nella tristezza e ci identifichiamo con essa. Finiamo così per accrescere la forza e il potere della tristezza. Ed è la nostra reazione abituale. L’abitudine a reagire in un certo modo crea profondi solchi dai quali diventa poi difficile uscire. In aggiunta all’abitudine, si ha la tendenza a investire un’enorme quantità di energia nel desiderio di liberarsi dello stato mentale spiacevole, per esempio la tristezza. Certe volte ne siamo liberi, ma la nostra tendenza è allora di indulgere nella tristezza, non solo NON ce ne vogliamo liberare, ma ne vogliamo addirittura di più: pensare, giudicare, reagire per trovare come liberarsi di questa emozione spiacevole.
Il problema non è la tristezza, ma il desiderio di liberarcene, perché questo desiderio è un’energia che ci separa dallo sperimentare in modo diretto la verità della tristezza. Essendo tormentati dal desiderio di liberarci da ciò che è spiacevole, anziché aprirci alla tristezza ci chiudiamo. Restiamo così intrappolati nel nostro concetto di tristezza e nella nostra reazione a questo concetto, ma non facciamo un’esperienza viva della tristezza. Solo se decidiamo di fare questa esperienza reale il nostro rapporto con la tristezza cambierà, come cambierà la qualità stessa della tristezza.
Come sarebbe una risposta sveglia, consapevole e paziente alla tristezza o ad altri stati mentali? Prima di tutto si tratta di investire moltissima energia nella consapevolezza stessa, una consapevolezza immediata di cosa sta accadendo. Se lo facciamo, cominciamo a risvegliarci, iniziamo ad avere una percezione diretta, che è cosa ovviamente molto diversa dalla reattività o dalla rimozione. È un punto di svolta e la chiave è un interesse sempre più forte a rivolgersi alla consapevolezza, un interesse diventato quasi un istinto a scegliere la consapevolezza.
In conclusione, abbiamo detto che il desiderio di disfarsi di uno stato negativo è problematico perché è un’energia che distoglie dallo sperimentare in modo diretto ciò che è presente, ma abbiamo anche aggiunto che è un impulso comprensibile. Perché? Perché volersi liberare di uno stato mentale negativo è anche un’espressione dell’UNIVERSALE ASPIRAZIONE ALLA FELICITA'. Ma tale espressione è distorta e, come possiamo verificare continuamente, non porta alla felicità.
È importante non essere giudicanti nei confronti dei nostri attaccamenti, delle nostre avversioni dolorose e di quelle degli altri, perché sotto questi attaccamenti e avversioni c’è il nostro legittimo desiderio di felicità.
Preso da: LA CONSAPEVOLEZZA PAZIENTE di Corrado Pensa
La pazienza è la capacità di vedere, sentire, toccare, assaporare e odorare il più pienamente possibile gli eventi interiori ed esteriori della nostra vita. È entrare nella nostra vita con occhi, orecchie e mani aperte in modo da conoscere veramente quello che accade. La pazienza è una disciplina assai difficile proprio perché è un movimento opposto al nostro impulso irriflessivo a fuggire o a combattere. La pazienza ci chiede di andare al di là della scelta tra fuggire e lottare. È la terza via ed è la più difficile. Richiede disciplina perché va contro la tendenza dei nostri impulsi.
La pazienza comporta lo stare con, il vivere interamente, l’ascoltare attentamente ciò che si presenta qui e ora. L’affinità tra la descrizione di cos’è la vera pazienza e la definizione di presenza mentale, o sati, nel Dharma, è molto forte, tanto che potremmo unire i linguaggi e parlare di consapevolezza paziente, così come si parla di consapevolezza non giudicante, di consapevolezza equanime, di consapevolezza affettuosa.
La pazienza, l’equanimità, la sollecitudine, l’attitudine non giudicante sono intrinseche alla consapevolezza.
LA CONSAPEVOLEZZA è la capacità di entrare in intimità con le cose, ma secondo un atteggiamento di non attaccamento e di non identificazione. Quindi con sollecitudine ed equanimità. Dal punto di vista dell’io è una contraddizione, è assolutamente incomprensibile, ma questa è per definizione la struttura stessa della consapevolezza.
In psicologia biologica, con il termine consapevolezza (inglese awareness) si intende la percezione e la reazione cognitiva di un animale al verificarsi di una certa condizione o di un evento. La consapevolezza non implica necessariamente la comprensione.
Il concetto di consapevolezza è relativo. Un animale può essere parzialmente consapevole, oppure può essere consapevole a livello subconscio o anche profondamente consapevole di qualcosa. La consapevolezza può essere individuata in uno stato interno, quale ad esempio una sensazione viscerale o la percezione sensoriale di eventi esterni.
La consapevolezza fornisce il materiale "grezzo" a partire dal quale gli animali possono sviluppare delle idee soggettive circa la loro esperienza, il passo successivo alle idee è arrivare a scoprire la parte inconscia, diventando totalmente conscia, questa è l'illuminazione. L'uomo è l'unico animale che può raggiungere questo stato (il picco più alto di consapevolezza).
La consapevolezza non è qualcosa che ci si sforza di raggiungere. E’ un processo che si deve vivere, un processo evolutivo in costante cambiamento, che fluttua istante per istante.
Va da sé che sviluppare vera consapevolezza richiede un addestramento di immensa pazienza e un graduale affinamento della capacità di comprendere, di vedere in profondità.
Facciamo un esempio. Supponiamo di essere tristi, che la tristezza sia il nostro stato emotivo predominante. Cosa facciamo di solito? Spesso, anche se non necessariamente, ci perdiamo nella tristezza e ci identifichiamo con essa. Finiamo così per accrescere la forza e il potere della tristezza. Ed è la nostra reazione abituale. L’abitudine a reagire in un certo modo crea profondi solchi dai quali diventa poi difficile uscire. In aggiunta all’abitudine, si ha la tendenza a investire un’enorme quantità di energia nel desiderio di liberarsi dello stato mentale spiacevole, per esempio la tristezza. Certe volte ne siamo liberi, ma la nostra tendenza è allora di indulgere nella tristezza, non solo NON ce ne vogliamo liberare, ma ne vogliamo addirittura di più: pensare, giudicare, reagire per trovare come liberarsi di questa emozione spiacevole.
Il problema non è la tristezza, ma il desiderio di liberarcene, perché questo desiderio è un’energia che ci separa dallo sperimentare in modo diretto la verità della tristezza. Essendo tormentati dal desiderio di liberarci da ciò che è spiacevole, anziché aprirci alla tristezza ci chiudiamo. Restiamo così intrappolati nel nostro concetto di tristezza e nella nostra reazione a questo concetto, ma non facciamo un’esperienza viva della tristezza. Solo se decidiamo di fare questa esperienza reale il nostro rapporto con la tristezza cambierà, come cambierà la qualità stessa della tristezza.
Come sarebbe una risposta sveglia, consapevole e paziente alla tristezza o ad altri stati mentali? Prima di tutto si tratta di investire moltissima energia nella consapevolezza stessa, una consapevolezza immediata di cosa sta accadendo. Se lo facciamo, cominciamo a risvegliarci, iniziamo ad avere una percezione diretta, che è cosa ovviamente molto diversa dalla reattività o dalla rimozione. È un punto di svolta e la chiave è un interesse sempre più forte a rivolgersi alla consapevolezza, un interesse diventato quasi un istinto a scegliere la consapevolezza.
In conclusione, abbiamo detto che il desiderio di disfarsi di uno stato negativo è problematico perché è un’energia che distoglie dallo sperimentare in modo diretto ciò che è presente, ma abbiamo anche aggiunto che è un impulso comprensibile. Perché? Perché volersi liberare di uno stato mentale negativo è anche un’espressione dell’UNIVERSALE ASPIRAZIONE ALLA FELICITA'. Ma tale espressione è distorta e, come possiamo verificare continuamente, non porta alla felicità.
È importante non essere giudicanti nei confronti dei nostri attaccamenti, delle nostre avversioni dolorose e di quelle degli altri, perché sotto questi attaccamenti e avversioni c’è il nostro legittimo desiderio di felicità.
Preso da: LA CONSAPEVOLEZZA PAZIENTE di Corrado Pensa
8 commenti:
BASTAAAAAAAAAAAA!!!
CI HAI ROTTO!!
Ma chi ti dice di leggerlo. Non è forse il mio Blog? O sbaglio? Cancella il mio link!!!
lo dico solo per il tuo bene.. ;)
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Io credo che la nostra cara Nenni sia abbastanza grande e vaccinata da sapere benissimo cosa fare x il suo bene, non penso abbia bisogno di un tutor.......
Grazie Niki, anche se credo di sapere chi è l'autore del commeno!
E poi lo faccio pure per voi, almeno imparate qualcosa!!!
Invece il vero bene è apprendere ciò che scrive.....andare alla ricerca di queste lezioni dentro se stessi....per me fai solo che bene tesoro.... di primo impatto può sembare che qeste lezioni siano dovute a siuazioni non molto positive, ma quando si arriva alla loro conclusione ti rendi conto di quanto hai dentro.......
Bravo Fedo, è proprio quello che sto cercando di fare. Siamo proprio sulla stessa lunghezza d'onda io e te.
Je t'adore!!!!!!
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